Negli ultimi anni la stampa, sportiva e non, ha commentato, con ampiezza di particolari e a volte con sorpresa, i record mondiali o comunque le grandi prestazioni ottenute in discipline di durata da atleti non più giovanissimi. Per es. Francesco Moser tra i 33 e i 35 anni ha stabilito 4 record dell’ora; Maria Canins a 36 e 37 anni ha vinto due giri di Francia distanziando le ben più giovani avversarie di decine di minuti, Maurilio De Zolt a 37 anni raggiunge nello sci di fondo i risultati migliori della sua carriera. E ancora il portoghese Lopes vince la maratona alle olimpiadi di Los Angeles a 37 anni e Zoetemelk i campionati del mondo di ciclismo a 39. Qual è il segreto di questi “vecchi” atleti?
I test di fisiologia insegnano che la massima potenza aerobica si raggiunge a 20 anni. A questa età, insomma, lavora al meglio il meccanismo che demolisce aerobicamente i due combustibili (zuccheri e grassi) che è proprio quel meccanismo usato nelle gare di mezzofondo e fondo.
Sembra dunque esistere una contraddizione tra scienza ufficiale e i risultati da campo. Ma è così solo in apparenza. In effetti, i dati dei test di fisiologia, si riferiscono alla popolazione generale, sostanzialmente sedentaria. Ed è con ogni probabilità proprio il non impiego del meccanismo aerobico, tipico di chi sta a sedere, la causa del suo progressivo declino. Invece il fondista, che per anni si allena (anche due volte al giorno) ne stimola il graduale miglioramento. Tra l’altro l’allenamento produce sul meccanismo aerobico non solo aumenti di potenza (cioè di velocità) ma soprattutto di resistenza (cioè di possibilità di impiego prolungato).
Aumenta dunque la possibilità di usare a lungo la demolizione con ossigeno di zuccheri e grassi. Questo perché il muscolo del fondista “impara”, col tempo, a risparmiare i carboidrati (il glicogeno, di cui ha scarsa disponibilità e che è indispensabile al protrarsi dello sforzo), utilizzando percentuali via via sempre maggiori di grassi, combustibile di cui invece dispone in abbondanza. Questa più opportuna miscelazione dei due combustibili, che matura con anni di esercizio, da ragione alla maggior resistenza degli atleti maturi. Infine, si deve tener conto anche dell’esperienza maturata nel tempo dall’atleta, che permette il miglioramento di caratteristiche non secondarie, come l’efficienza del gesto e la fluidità dell’azione, il che consente prestazioni meno dispendiose e alla lunga migliori.
Dunque per una serie di ragioni (cardiocircolatorie, muscolari, metaboliche e altre), l’età del massimo rendimento atletico nelle gare di durata si va spostando in avanti. Impossibile per ora predire quale sarà l’età al di là della quale lo stimolo allenante e i miglioramenti da esso indotti saranno sopraffatti dai peggioramenti conseguenti al fatale invecchiamento delle strutture biologiche.
Comunque dallo sport buone notizie: il top delle prestazioni nelle discipline di durata (che sono poi quelle più congeniali all’essere umano, che di sua natura non è un velocista) si raggiunge non a 20 ma a 40 anni. Se non si sta seduti.
Tratto da: Medicina e Dossier, Gli sport di durata, P.Cerretelli e F.Conconi 1988.
allora ho ancora qualche speranza di migliorare....
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